Fascite plantare e spina calcaneare

È un’irritazione dell’aponeurosi plantare nella sua inserzione sul calcagno, ormai riconosciuta come patologia della fascia. E’ caratterizzata da un dolore all’altezza del calcagno che può espandersi su tutta la fascia plantare.

La fascia plantare è una banda spessa e larga, composta da resistenti fibre di collagene, che va dal calcagno ai metatarsi ed alle dita. È strutturata come una corda che mantiene in tensione l’arco longitudinale del piede ed ha il compito principale di assorbire gli shock.

L’insorgenza è più frequente negli uomini con un’età compresa tra i 40 e 60 anni, sportivi, e può essere accompagnata o no dalla spina calcaneare, un escrescenza ossea al centro del calcagno che invece può non dare sintomi dolorosi.

L’aponeurosi plantare si inserisce sul periostio, ossia una membrana fibrosa che ricopre l’osso. La continua tensione, sollecitazione o lo stiramento ripetitivo dell’aponeurosi fa si che questa si retrae e tira in avanti il periostio che creerà uno spazio vuoto tra lui ed il calcagno.

Ciò attiverà la risposta osteoblastica con conseguente formazione dello sperone osseo (o spina calcaneare), che comunque non è mai il responsabile della sintomatologia dolorosa. È presente nel 50% dei soggetti sintomatici e nel 20% di quelli asintomatici.

Le cause della fascite plantare sono molteplici e combinate fra loro:

  • attività fisiche con carico ripetitivo;
  • prolungate attività in piedi;
  • calzature improprie;
  • sovrappeso;
  • Piede piatti o cavi non “funzionali”.

Alla base però ci sono sempre dei traumi ripetuti che possono provocare microlesioni della fascia, soprattutto in prossimità dell’inserzione calcaneare, con infiammazione e dolore (entesite).

Il dolore è localizzato alla base del calcagno e lateralmente ad esso ma può essere diffuso sino alla parte anteriore. È acuto all’inizio del carico per poi attenuarsi e riaggravarsi dopo una prolungata attività.

La spina calcaneare, come già detto, può non essere dolorosa ma essere presente nel soggetto da molti anni. Comincerà ad essere dolorosa quando si assocerà anche una fascite o quando la spina bloccherà i movimenti della fascia plantare creando un edema e riducendo la mobilità dello calcagno.

Diagnosi

La diagnosi precisa di fascite viene fatta con una ecografia o una risonanza, mentre una spina calcaneare è ben visibile con una radiografia.

La descrizione dei sintomi sopra menzionati e la localizzazione del dolore dà la certezza della diagnosi.

Che fare?

Ci sono dei consigli a chi soffre di fascite, soprattutto nella fase iniziale quando il dolore non è ancora invalidante:

  • variare il più possibile le calzature (non troppo strette e con un minimo di tacco sotto al calcagno).
  • diversificare le superfici e i percorsi di allenamento;
  • scaricare le tensioni sotto al piede (esempio: mobilizzare il tallone con una pallina da tennis sotto il calcagno).
  • Scegliere una scarpa adeguata negli sportivi e soprattutto nei runners;
  • Fare degli esercizi di stretching dei muscoli e della fascia del piede.

Tra le terapie strumentali, le onde d’urto sono ritenute le più efficaci, ma possono aiutare molto anche la tecar e la laserterapia (soprattutto nella fase acuta). Altrettanto importanti e risolutivi i trattamenti manuali dell’operatore.

Le fasciti plantari possono durare 5 settimane e si possono protrarre anche un anno.  Prima si inizia l’intervento riabilitativo, prima si riducono i tempi di guarigione e la sintomatologia dolorosa.

Se invece avviene la cronicizzazione del problema, può essere necessario l’intervento del medico con infiltrazioni locali di antinfiammatori. Nei casi più gravi (sintomi che perdurano più di un anno) il medico potrà decidere di ricorrere all’intervento di distensione chirurgica.

Se una fascite non viene trattata in tempo, la persona colpita modificherà il suo appoggio al suolo e di conseguenza potranno esserci degli scompensi e sovraccarichi funzionali anche a livello di ginocchia, anche e colonna vertebrale.

Gravidanza e mal di schiena

Il mal di schiena nella donna in gravidanza è un dolore molto frequente, ne soffrono molte donne in una percentuale che va dal 50% all’ 80 %.

Le donne che già soffrivano di questo dolore anche prima di essere in stato interessante, sono più soggette a questa problematica.

Le cause

Il dolore può dipendere da diversi fattori, ma alla base c’è quasi sempre un cambiamento della biomeccanica della colonna vertebrale dovuta chiaramente alla crescita del feto.

Anche per questo , il dolore solitamente si presenta maggiormente tra il 5° e il 7° mese, ossia quando la pancia della mamma comincia a crescere notevolmente.

Ma anche nei mesi precedenti e successivi si può presentare questo fastidio in modo acuto oppure cronicizzarsi.

Quali sono le cause maggiori che modificano la meccanica della colonna?

  • Aumento del peso
  • Modificazione della postura
  • Alterazione delle dinamiche viscerali
  • Stress emotivi
  • Fattori ormonali.

È evidente che un aumento del peso e della pancia sposta il baricentro della colonna e costringe alcuni muscoli ad un maggior lavoro che prima non producevano.

Ciò può portare anche un cambio della postura che a sua volta può determinare un maggior stress di alcune articolazioni della colonna che vanno incontro ad un iperlavoro e col tempo possono bloccarsi.

I visceri si trovano ad essere schiacciati maggiormente, sempre di più; a causa della crescita del bambino/a dentro la pancia, ed avendo loro dei contatti fasciali e legamentosi con tutta la colonna, possono alterare la giusta distribuzione delle forze provenienti dall’alto o dal basso.

Durante la gravidanza, viene prodotto un ormone, la relaxina, che tra le sue funzioni ha anche quella di determinare un maggior rilassamento ed elasticità della muscolatura, importante nella fase del parto. Ciò però può dare un indebolimento dei muscoli paravertebrali che sostengono il peso del corpo sempre maggiore sovraccaricando le articolazioni.

Infine anche gli stress emotivi possono alterare il normale funzionamento della meccanica vertebrale.

Che fare?

Il primo consiglio che si da alle donne che hanno sempre sofferto di mal di schiena e entrano nel periodo gestazionale, è quello di muoversi. Non rimanere sedentarie, ma fare un attività che può essere il nuoto, lo yoga o anche solo lunghe passeggiate. Quando farle? Sentire il consiglio di un medico o fisioterapista od osteopata perché ogni gravidanza può essere diversa dalle altre.

Un altro consiglio che sicuramente viene da sé, è quello di non sforzare troppo la schiena sollevando dei pesi o facendo dei movimenti bruschi e non fisiologici.

Inoltre, bisogna seguire una dieta equilibrata, consultando  il proprio ginecologo/a o nutrizionista, per evitare un eccessivo aumento di peso.

Eventualmente adoperare della calze elastiche o una panciera su consiglio del medico, nel caso in cui ci siano  problemi circolatori o se la pancia comincia ad essere pesante per la futura mamma.

Un consiglio che spesso aiuta le donne in gravidanza è quello di dormire sul fianco con le gambe piegate ed un cuscino fra loro, e durante i passaggi posturali ( esempio: dal letto a seduta, da seduta ad in piedi) non sforzare troppo la schiena facendo dei movimenti suggeriti dall’osteopata o fisioterapista.

Quando serve l’aiuto dell’osteopata o del fisioterapista?

Quando i dolori diventano insopportabili, il riposo non basta più e non si può o non si vuole più prendere farmaci tipo la tachipirina, diventa importante il ruolo dell’osteopata o del fisioterapista.

Esistono degli esercizi utili per alleviare il mal di schiena, ed esistono delle tecniche manuali ed efficaci che riducono lo stress meccanico sulla colonna e allentano la tensione muscolare e fasciale.