Protesi d’anca

L’anca è una delle articolazioni più grandi del nostro corpo ed è anche una di quelle che più spesso va in contro ad intervento protesico.

L’intervento chirurgico risolve notevolmente la sintomatologia dolorosa, restituendo autonomia al movimento e aumentando la qualità della vita.

I dolori post-operatori sono normali dopo un intervento come questo, ma nel tempo tendono a diminuire di molto o a scomparire, ma la fase chirurgica deve essere seguita dalla fase riabilitativa.

L’età media dei pazienti protesizzati  varia dai 66 ai 72 anni, soprattutto nelle donne,  e le cause maggiori di intervento chirurgico nelle persone anziane sono:

  • Artrosi
  • artrite reumatoide
  • fratture del collo del femore

Nel soggetto giovane le cause maggiori di intervento sono:

  • tumori ossei
  • necrosi avascolare
  • conflitto femoro-acetabolare
  • malattia ossea di Paget
  • artrite settica
  • lussazione congenita d’anca.

L’ intervento e tipi di protesi

Esistono tre tipologie di intervento protesico:

  1. sostituzione totale o Artroprotesi ( si sostituiscono entrambe le componenti articolari, sia femore che acetabolo)
  2. sostituzione parziale o Endoprotesi ( dove si sostituisce solo il femore e si preserva l’acetabolo)
  3. protesi parziale che prevede la conservazione del femore (adatta solo a pazienti giovani e in assenza di osteoporosi).

 

Di solito l’intervento si esegue in anestesia generale e la durata varia dai 60 ai 90 minuti . Consiste nel rimuovere le parti danneggiate della parte superiore del femore con la testa, il collo e un pezzo del corpo e della parte dell’acetabolo. Dopo la rimozione si passa alla sostituzione dell’anca con una protesi in lega metallica : si inizia a fissare la coppa ( o cotile) protesica al bacino che sostituisce l’acetabolo,  e dopo si fissa lo stelo protesico nella porzione femorale rimasta. Il tutto poi si unisce applicando del cemento acrilico o tramite un meccanismo a pressione.

Materiali utilizzati

La protesi d’anca può essere realizzata con diversi materiali. Lo stelo, solitamente è in titanio mentre l’inserto e la testa in ceramica. La scelta del materiale è del chirurgo che valuta in base a l’età del paziente, al peso, ad eventuali allergie del paziente a materiali, al sesso e alle patologie di base.

L’età gioca un ruolo importante nella scelta del materiale.

In un paziente anziano solitamente si sceglie una protesi cementata ( dove si fissa saldamente la coppa e la testa dello stelo tramite il cemento acrilico) che la rende molto forte e difficile da rimuovere.

Nel paziente giovane si opta invece per una protesi non cementata , con un meccanismo a pressione, dove lo stelo presenta dei piccolissimi fori che permettono all’osso di crescervi all’interno ancorandosi maggiormente. I vantaggi di questa protesi consistono nella facile rimozione.

La durata di una protesi varia dai 15 ai 20 anni, in base ai materiali utilizzati.

I tempi di recupero

Nella maggior parte dei casi il ricovero in ospedale dopo l’intervento chirurgico non supera i 5 giorni e sin dai primissimi giorni è possibile mettere il paziente in piedi con l’ausilio di stampelle o deambulatore.

I tempi di recupero variano in base all’età del paziente, ma in linea generale si aspettano le 4/6 settimane prima di togliere gli ausili per deambulare, tempo necessario per far guarire le ferite e perché la protesi non può sostenere subito tutto il peso del corpo.

Se il paziente si attiene alle cure e agli esercizi riabilitativi , il recupero e la ripresa totale delle normali attività avviene dopo 2-3 mesi.

Consigli e cosa non fare !!

Nella fase post-operatoria è bene osservare delle accortezze. Tra le più importanti ricordiamo:

  • Dormire dal lato della gamba sana, e per alcune settimane mettere un cuscino in mezzo alle gambe per non intraruotare l’anca operata.
  • Evitare la flessione dell’anca con un angolo superiore ai 90°, durante ogni attività
  • Non fare perno sulla gamba operata
  • Non accavallare le gambe
  • Evitare di eseguire movimenti di rotazione dell’anca
  • Evitare le sedie troppo basse ( ad esempio si consiglia l’utilizzo di un rialzo per il water)

Occorre inoltre prestare attenzione ai movimenti bruschi ed agli urti. Le normali attività possono essere riprese dopo un intervallo di tempo che varia dalle 6 settimane per la guida, alle 6-12 settimane per tornare a lavorare ( in base alla tipologia di lavoro).

IN UN PROSSIMO ARTICOLO VERRANNO ILLUSTRATI DEGLI ESERCIZI UTILI DOPO L’INTERVENTO DI PROTESI D’ANCA

Artrosi dell’anca

L’artrosi dell’anca, detta anche coxartrosi, è una patologia che coinvolge l’articolazione coxo-femorale formata dalla testa del femore e dall’acetabolo ( o cotile).

Come in tutte le artrosi c’è un danneggiamento progressivo della cartilagine, e nelle fasi più avanzate coinvolge anche lo strato osseo dell’articolazione.

L’anca, insieme al ginocchio è la sede più colpita da artrosi, e colpisce soprattutto le persone sopra i 65 anni, in particolare le donne.

Quali sono i sintomi?

Come spesso capita nel quadro clinico dell’artrosi, i sintomi più comuni sono la rigidità, la ridotta mobilità e il dolore.

Nel caso specifico della coxartrosi:

  • La rigidità è soprattutto mattutina, al risveglio; tende ad aumentare con l’aggravarsi della patologia, ma tende a migliorare un po’ dopo degli esercizi di mobilità.
  • Il dolore è il sintomo principale, ed è localizzato principalmente lungo la sede inguinale, per poi irradiarsi anche dietro e lateralmente al gluteo. Aumenta all’inizio di un’attività e diminuisce col riposo.
  • La mobilità ridotta è soprattutto nei movimenti di abduzione (esempio : aprire la gamba); di intrarotazione ( esempio: accavallare la gamba sull’altra) e di flessione (esempio: portare la gamba al petto).

Nelle fasi più avanzate la problematica porterà la persona alla “zoppia” in quanto i muscoli saranno più deboli e non avranno la forza di sostenere l’arto e il bacino durante il cammino. Questo segno si chiama Trendelemburg , ed è presente a volte anche nelle persone che hanno avuto un impianto protesico all’anca.

Come si diagnostica?

Nella fase iniziale, è difficile diagnosticare questa patologia perché molti segni e sintomi sono simili ad altre problematiche dell’anca.

Per diagnosticare una coxartrosi è utile fare una RX dell’ anca.

Nelle fasi più avanzate , oltre alla diagnostica per immagine, sarà utile una visita dallo specialista che confermerà quanto visto con la RX.

Una RX mostra i segni caratteristici di una artrosi d’anca:

  • Riduzione dello spazio articolare tra la testa del femore e l’acetabolo del bacino;
  • Presenza di geodi (cavità ossee sostituite da tessuto fibroso);
  • Formazione di osteofiti (becchi ossei) soprattutto nelle zone di maggior carico.

In alcuni casi è consigliata la RISONANZA MAGNETICA per fare diagnosi differenziale con una OSTEONECROSI DELL’ANCA, che ha dei sintomi e segni simili alla coxartrosi, ma più aggressivi.

Qual’e’ la causa?

Esistono due tipi di artrosi:

 

  • Artrosi primaria; di tipo idiopatico, che colpisce prevalentemente le persone sopra i 60 anni e in particolare il sesso femminile.
  • Artrosi secondaria; che viene in seguito ad un trauma o ad un’altra patologia come la displasia d’anca.

La forma idiopatica, può avere una componente ereditaria, e tra le possibili cause c’è sicuramente il sovraccarico funzionale e gli stress meccanici (come le attività o gesti professionali ripetitivi, attività sportive stressanti, traumi ripetuti, ecc..)

Che fare ?

Nelle fasi iniziali ed intermedie, l’intervento fisioterapico ed osteopatico è quello che meglio di tutti aiuta a ridurre la sintomatologia dolorosa attraverso l’esecuzione di gesti e movimenti fino ad allora limitanti evitando l’intervento farmacologico (anche di tipo infiltrativo) o chirurgico.

Si utilizzano tecniche di terapia manuale per ridare mobilità alla zona oppure dei macchinari (come la tecar o il laser) per ridurre il dolore e l’infiammazione.

Nei casi di artrosi molto avanzata lo specialista ortopedico può consigliare l’intervento protesico chirurgico.

In un prossimo articolo parleremo dell’intervento protesico, in che cosa consiste e della terapia post-operatoria.

 

Esercizi per l’anca

Nell’articolo precedente mi sono occupato della borsite all’anca o trocanterica.

Di seguito vi spiegherò e illustrerò degli esercizi che aiutano la mobilità dell’anca e favoriscono l’allungamento muscolare per rendere l’articolazione più mobile e libera da impedimenti.

Questi esercizi possono essere usati anche per altre problematiche all’anca, sempre su consiglio di un fisioterapista o di un osteopata.

Esercizi di mobilita’ e di allungamento

1. Dalla posizione supina, partire con tutte e due le gambe distese e portare quella colpita al petto per 10 secondi mantenendo quella opposta distesa e cercare di non alzarla quando l’altra sale. Ripetere 20 volte.

2. Dalla posizione supina, partire con la gamba flessa e aperta, portarla nella direzione opposta (vedi freccia) senza alzare troppo il bacino. Mantenere la posizione 10 secondi e ripetere 20 volte.

3. Dalla posizione sul fianco , poggiare sul tappetino il lato della gamba “buona” e portare quella colpita col ginocchio flesso verso il gluteo per allungare il muscolo del quadricipite. Mantenere la posizione 10 secondi e ripetere 20 volte. Volendo si può flettere in avanti la gamba che sta sotto per evitare che si inarchi troppo la schiena

4. Dalla posizione seduta portare tutte e due le gambe aperte con ginocchia flesse, tipo “farfalla”. Da qui molleggiare lentamente con le gambe ed aprire sempre di più le anche per 5 minuti. La gamba meno mobile avrà più difficoltà ad aprirsi, in questo caso si può poggiare una mano sul ginocchio e spingere delicatamente per aiutare la stessa gamba a scendere.
Se la schiena è dolente, si può flettere un po’ il tronco in avanti.

5. Dalla posizione seduta flettere una gamba ed aprirla come l’esercizio 4. L’altra rimane estesa cercando di mantenere il ginocchio poggiato al tappetino. Portare il tronco in avanti e tenere la posizione per 10 secondi. Ripetere per 20 volte e fare l’esercizio per entrambe le gambe

6. Dalla posizione seduta accavallare ( fino a dove si riesce) la gamba colpita sull’altra col ginocchio flesso. Da qui ruotare il tronco dalla parte opposta ( vedi freccia) e cercare con la mano opposta alla gamba flessa di portare il ginocchio in basso in direzione opposta del tronco. Mantenere la posizione per 10 secondi e ripetere 20 volte.

7. Dalla posizione in ginocchio, portare la gamba “buona” in avanti col ginocchio flesso mentre l’altra rimane indietro con il ginocchio esteso. Portare il bacino in avanti e in basso (vedi freccia) per sentire allungarsi la parte anteriore della coscia che sta dietro. Mantenere la posizione 10 secondi e ripetere 20 volte.

8. Da in piedi mettere la gamba sana su una superfice rialzata, mentre l’altra è distesa in dietro. Portare il bacino in avanti verso la superficie rialzata per sentire allungarsi la parte anteriore della coscia che sta dietro. Mantenere la posizione 10 secondi e ripetere 20 volte.

9. Dalla posizione supina su un letto o un tavolo portare la gamba sana al petto mentre l’altra rimane fuori dal letto. Portare più possibile la gamba flessa al petto per sentire allungarsi quella opposta. Mantenere per 30 secondi e ripetere per 10 volte.

La borsite dell’anca

La borsite dell’anca o borsite trocanterica è un’infiammazione della borsa sinoviale che si manifesta con un dolore lateralmente alla coscia.

La borsa si trova in prossimità del grande trocantere dell’osso del femore, e la patologia associata è anche nominata Sindrome Dolorosa del Grande Trocantere (GTPS: greater trochanteric pain syndrome).

Intorno alla zona interessata dal dolore sono presenti principalmente tre borse; rispettivamente sotto ai muscoli grande, medio e piccolo gluteo. Il loro scopo è quello di ammortizzare lo sfregamento che avviene durante il movimento tra il grande trocantere e i tendini dei muscoli adiacenti (glutei, la bandeletta ileo-tibiale e il tensore della fascia lata).

La borsa del Grande Gluteo è la più grande di tutte ed è quella che più spesso viene coinvolta in questa sindrome.

Quale è la causa?

Questa problematica ha una prevalenza maggiore nelle donne comprese fra i 40 e i 60 anni, e potrebbe avere varie cause d’insorgenza. Tra quelle più comuni ci sono:

  • Uso eccessivo con una biomeccanica alterata dell’articolazione dell’anca.
  • Trauma diretto o microtraumi ripetuti (come il portiere di calcio che si butta spesso sul fianco per parare)
  • Fattori anatomici predisponenti che alterano anch’essi la giusta biomeccanica (come un arto più lungo, bacino più largo, angolo femorale minore…)
  • Altri fattori predisponenti (come artrite reumatoide, malattie reumatiche, precedenti incisioni chirurgiche, depositi di calcio).

Come si manifesta

Il sintomo principale è il dolore sul lato esterno della coscia che spesso si irradia in basso verso la gamba.

Si accentua dopo uno sforzo e stando poggiati sul fianco colpito (ad esempio nel letto quando si dorme su quel lato).

Come si diagnostica

La diagnosi si fa in base a dei test clinici (un dolore che si manifesta ad anca flessa a 30- 40 gradi e in extra-rotazione è tipico della borsite trocanterica) e soprattutto grazie alla risonanza magnetica che esclude altre patologie con sintomatologia simile.

Che fare?

Per migliorare il dolore e diminuire l’aumento di volume della borsa si può procedere con un trattamento conservativo, oppure ,quando questo non risolve o nelle forme più avanzate,  con un trattamento invasivo (con aspirazione del liquido con un ago).

Nel trattamento conservativo si associano spesso varie terapie:

  • Ghiaccio nella fase acuta
  • Farmaci antinfiammatori e nelle forme più gravi anche infiltrazioni di cortisone
  • Terapia fisica: come laser, tecar, ultrasuono o onde d’urto
  • Perdita di peso nelle persone con eccesivo peso ponderale
  • Terapia manuale che migliora, ripristina il movimento fisiologico dell’articolazione e drena la zona.
  • Esercizi e consigli da dare al paziente.

 

Tra i consigli che si possono dare ai soggetti che soffrono di questa sindrome :

  • Evitare i movimenti di adduzione dell’anca (come accavallare le gambe).
  • Evitare di dormire sul lato dolente oppure mettere un cuscino sotto l’arto interessato quando si riposa su quel fianco
  • Fare degli esercizi di mobilità dell’articolazione e di stretching dei muscoli adiacenti per mantenere una buona mobilità dell’anca e per non sovraccaricare i muscoli stessi.

Alcuni di questi esercizi verranno illustrati nel prossimo articolo.

Il torcicollo

Torcicollo è un termine che viene attribuito ad una condizione dolorosa del collo, caratterizzata dalla mobilità ridotta o anche da veri e propri blocchi articolari.

La manifestazione clinica più comune è il forte dolore su alcuni muscoli che hanno un’inserzione in sede cervicale e una grossa difficoltà nel girare la testa da un lato, accentuando ulteriormente il dolore, tanto da muovere il collo tutt’uno con il corpo.

Spesso la risoluzione del problema avviene nell’arco di due/quattro giorni, ma a volte può prolungarsi nel tempo tanto  da essere fortemente invalidante.

La “famiglia dei torcicolli” comprende varie forme:

  • Di tipo congenito
  • Di tipo visivo o uditivo
  • Di natura neurologica con distonia cervicale
  • Di tipo benigno

Quest’ultimo (quello benigno), è quello più comune, meno grave degli altri ed è quello che approfondiremo.

Quali sono le cause

Possono essere diverse le situazioni che facilitano l’instaurarsi del problema.

Solitamente il “blocco acuto” da torcicollo avviene in seguito ad:

  • un movimento brusco (come può essere un piccolo colpo di frusta);
  • una posizione tenuta per molto tempo (come una postura sbagliata);
  • una situazione in cui c’è uno sbalzo termico importante (come ad esempio l’aria condizionata d’estate).

In tutte queste situazioni la vera causa scatenante è un blocco articolare delle vertebre cervicali e/o delle dorsali alte, con conseguenti contratture muscolari.

A loro volta le contratture e i blocchi articolari si sviluppano per un’eccessiva tensione muscolare o per una rigidità vertebrale (anche lontano dalla regione cervicale), dovute allo stato generale della persona stessa.

Come si manifesta

Solitamente il torcicollo si presenta:

  • Al risveglio mattutino.
  • Con dolore da un lato del collo che si può irradiare anche sulla spalla o sul dorso.
  • Con dolore al movimento di inclinazione laterale e rotazione della testa.
  • Con assenza di dolore quando la testa rimane ferma o leggermente inclinata.

Il dolore acuto può durare anche 4 giorni per poi migliorare progressivamente.

In alcuni casi i sintomi persistono anche di più e possono essere aggravati anche da nausea, vertigini, mal di testa e dolore al braccio e alla mano.

Cosa fare

Nella prima fase, quella acuta, in cui c’è il dolore forte; si può intervenire in diversi modi:

  • Farmaci antinfiammatori o miorilassanti, anche combinati insieme (su consiglio del medico)
  • Terapie fisiche che aiutano a togliere l’infiammazione (come la tecar o il laser)
  • Terapie manuali che agiscono togliendo il blocco articolare, anche distalmente dalla zona del dolore
  • Applicazioni di calore (come creme naturali o cerotti termici).

Non c’è una regola generale su cosa fare prima o dopo rispetto all’elenco sopra descritto, ma in base alla persona e ai sintomi associati.

Sicuramente chi soffre di torcicolli ripetuti nel tempo dovrà fare un esame più approfondito del suo sistema muscolo scheletrico e spesso si consiglieranno degli esercizi ripetuti più volte alla settimana per mantenere uno stato di mobilità generale e di benessere.

Un esempio di questi esercizi sono stati affrontati in un altro articolo -> Esercizi per la cervicale

Esercizi per il diaframma

Come abbiamo visto in un articolo precedente il diaframma, per la sua posizione “centrale” nel corpo è un muscolo che ricopre una funzione primaria nella respirazione , nella mobilità viscerale e nell’equilibrio posturale.

Spesso si sente parlare di diaframma bloccato o poco mobile, o che lavora male.

Ecco 5 facili esercizi che mostrano come  aiutare questo muscolo a muoversi meglio in tutte le sue direzioni ed aumentare la sua funzionalità.

1 esercizio: automassaggio del diaframma

Si eseguono dei micro massaggi su tutta l’arcata costale con i polpastrelli delle dita ,che si agganciano sotto le coste e fanno delle piccole vibrazioni con le mani per pochi secondi seguendo tutto il percorso costale. Concentrarsi nelle zone dove si sente maggiore tensione senza curarsi troppo del dolore. Ripetere il giro dell’arcata costale per 5 minuti.

2 esercizio: detensione dei pilastri diaframmatici

Dalla  posizione supina sistemare una pallina da tennis o un piccolo rullo  a livello delle vertebre lombari e cercare, con dei movimenti in alto, in basso , in dentro, in fuori della pallina o del rullo, di automassaggiare la zona. Eseguire questi movimenti per 5 minuti.

3 esercizio : presa di coscienza del diaframma

Dalla posizione supina mettere una mano sulla pancia e una sul petto; durante la fase inspiratoria gonfiare solo la pancia cercando di allargare la gabbia toracica e non abbassare il petto. Nella fase espiratoria sgonfiare la pancia.

L’utilizzo delle due mani serve per prendere coscienza del movimento e capire se state lavorando con la pancia o se state facendo intervenire le coste durante la respirazione.

Ripetere la respirazione per 5 minuti.

4 esercizio: respirazione diaframmatica paradossa

Come per l’esercizio precedente, partire dalla posizione supina con una mano sulla pancia e una sul petto. La fase inspiratoria è come per l’esercizio 3. Stavolta durante la fase espiratoria il torace si abbassa con l’aiuto della mano posta sopra di esso e la pancia si sgonfia contemporaneamente. Ripetere l’esercizio per 5 minuti.

5 esercizio: mobilizzazione “forzata” del diaframma

In questo esercizio si cerca di mobilizzare il diaframma il più possibile in tutto il suo range articolare creando anche una resistenza che aiuterà il muscolo ad essere più elastico.

Si aggancia il diaframma sotto l’arcata costale laterale con i polpastrelli che entrano sotto le coste e i palmi delle mani rimangono poggiati sopra.

Durante la fase inspiratoria (quando il diaframma cercherà di allargarsi e la pancia andrà a gonfiarsi) bloccare il suo movimento e non permettere la sua apertura facendo resistenza con i palmi delle mani per 3-5 secondi.

Durante la fase espiratoria avvicinare lentamente e con piccoli movimenti l’arcata costale verso l’ombelico e bloccarla fino a quando non si inizia una nuova fase inspiratoria. Ripetere la sequenza per almeno 10 volte. Alla fine delle 10 respirazioni le mani vengono quasi a contatto vicino l’ombelico.

Tutti questi esercizi portano via 10 minuti ma sono un valido aiuto per aumentare la mobilità di questo ”GRANDE” muscolo.

Il diaframma, muscolo della respirazione e non solo

Il diaframma è un muscolo che si trova tra torace e addome e svolge un ruolo primario nella respirazione, ma non solo.

Riveste una grande importanza anche sul piano emozionale e per questo viene chiamato muscolo della serenità.

Ha la forma di una cupola appiattita ed è situato al centro della colonna vertebrale separando la cavità toracica (dove ci sono polmoni e cuore) da quella addominale (sede dello stomaco, fegato e tutti i visceri).

La sua posizione lo rende un muscolo strategico per la funzionalità dei visceri, ed avendo delle connessioni anatomiche importanti anche con la colonna e con il sistema nervoso; entra in gioco in molte problematiche che affliggono il sistema muscolo-scheletrico.

Al centro del diaframma sono presenti degli orifizi per il passaggio dell’aorta addominale, della vena cava, dell’esofago, dei dotti linfatici e di alcuni rami del sistema nervoso neurovegetativo.

È divisibile in due porzioni: una centrale tendinea (centro frenico) ed una periferica muscolare che ha varie inserzioni: vertebrali, costali e sternali.

Che ruolo ha il diaframma ?

Il diaframma svolge la sua funzione principale durante la respirazione. Molte persone sfruttano solamente i muscoli accessori respiratori lasciando “dormiente” questo “grande” muscolo. Ce ne accorgiamo della sua funzione vitale soprattutto nella fase inspiratoria involontaria e a riposo: viene attivato abbassando il centro frenico e aprendo la gabbia toracica. Durante la fase espiratoria invece si alza facendo diminuire il diametro laterale della gabbia toracica.

Contraendosi si abbassa, creando successivamente un gradiente pressorio intratoracico negativo, rispetto all’ambiente esterno, a cui segue un “riempimento” spontaneo dei polmoni.

 

Da qui anche la sua importanza nel regolare l’equilibrio pressorio tra torace ed addome, fondamentale per una buona peristalsi intestinale.

 

Inoltre essendo un punto di passaggio del sistema vascolare e linfatico, risulta essere uno snodo importante dal punto di vista fluidico.

Problemi associati al mal funzionamento del diaframma

Viste le numerose connessioni anatomiche e funzionali del diaframma, uno stato di poca mobilità o fissità (spesso si sente parlare di diaframma “bloccato”) di questo muscolo, andrà ad influenzare molti aspetti della salute del corpo:

 

  • In primis tutto l’apparato respiratorio con i suoi organi (polmoni su tutti) e i muscoli accessori ( scaleni, intercostali,ec… che andranno in contro ad un iper lavoro con conseguenze sulla postura e sulla colonna cervicale)
  • Ne risentirà la mobilità viscerale e la funzionalità in genere dei vari organi collegati ad esso (stomaco e fegato nella zona toracica e tutto l’apparato digerente nella zona addominale);
  • Anche la colonna lombare con i suoi collegamenti fasciali e muscolari avrà una ripercussione, causando spesso dolori e compensi anche su altre zone zone, come l’articolazione dell’ anca, che vengono messe in tensione e sotto stress grazie ai collegamenti che ci sono con il muscolo psoas e il quadrato dei lombi.
  • In generale al livello meccanico ci saranno squilibri su tutta la colonna con posture sbagliate che a loro volta inizieranno un circolo vizioso che non aiuterà il diaframma stesso a “liberarsi” dalle restrizioni di mobilità.
  • In ultimo, ma non per importanza, ci sarà anche un effetto sulla vita emozionale, visto il suo coinvolgimento con il sistema nervoso neurovegetativo e visto il suo posizionamento “centrale” nel corpo.

Come trattare il diaframma?

Nel trattare il muscolo diaframma l’obiettivo principale è quello di renderlo più mobile possibile.

Per far ciò, oltre al trattamento manuale dello specialista che aiuta a “sbloccarlo” nella fase iniziale, bisogna insegnare al paziente stesso alcuni esercizi che dovrà fare con una certa quotidianità in quanto basta poco per riportarlo ad uno stato di ipo-mobilità.

Tra le tecniche più usate e facili da “insegnare” al paziente ci sono quelle di automassaggio del diaframma, di detensione dei pilastri diaframmatici e delle cupole ed esercizi che aumentino il volume della gabbia toracica.

Tutti questi esercizi verranno descritti e rappresentai in un prossimo articolo.

Coccigodinia, il dolore al coccige

La coccigodinia è una problematica dolorosa che colpisce la zona del coccige e può irradiarsi anche nella parte bassa del bacino.

Il coccige è un osso che si trova all’estremità della colonna, sotto l’osso sacro, ed è formato dall’unione di 3-4 piccole ossa, il cui apice appuntito è rivolto e curvato verso l’avanti.

Al livello coccigeo si agganciano numerosi legamenti, fasce e muscoli del pavimento pelvico e intorno alla sua articolazione passa il plesso pudendo (un ramo di fasci nervosi) con il sistema nervoso simpatico. Queste correlazioni anatomiche fanno si che questa zona, se sottoposta a stress meccanici o usuranti, possa infiammarsi e irradiarsi su tutto il bacino.

Cause del dolore

La maggior parte delle coccigodinie viene per cause traumatiche ( circa il 70% dei casi), spesso in seguito ad una forte caduta sul sedere. Solitamente dopo l’accaduto ci sarà una contusione, ma se il trauma è stato violento può esserci anche una lussazione o una frattura. In questi casi il dolore può durare anche anni, innescando una instabilità e un’infiammazione cronica che durerà per molto tempo. Nei casi più fortunati invece il dolore può durare da pochi giorni a 2 settimane.

Un’altra situazione in cui può esserci la coccigodinia è la gravidanza; dove il coccige diventa più flessibile ,per facilitare il parto , causando in alcuni casi un’eccessiva tensione fasciale e muscolare che si ripercuote su tutto il bacino.

Altre cause di coccigodinia sono :

  • l’eccessivo aumento o diminuzione di peso ;
  • lesioni da sforzo ripetitivo (come ad esempio il ciclismo o il canottaggio dove c’è un continuo sfregamento sotto il peso della colonna della zona del coccige);
  • artrosi importante
  • tumori
  • altre cause ( da squilibri della colonna vertebrale, in seguito a violenti colpi di frusta, psicosomatiche, situazioni congenite in cui il coccige è mal posizionato)

Sintomi

Oltre al dolore sul punto, le coccigodinie sono fastidiose anche nello svolgimento delle attività della vita quotidiana in quanto qualsiasi condizione che aumenta la pressione nella zona ( come il sedersi o l’andare in bagno) accentuerà la sintomatologia che si può irradiare anche nella zona pelvica. Rialzandosi o riducendo la pressione il sintomo andrà a diminuire.

Altri sintomi associati sono:

  • mal di schiena;
  • dolore prima e durante l’evacuazione,
  • accentuazione del dolore durante le mestruazioni nelle donne;
  • dolore irradiato sui glutei e sui fianchi.

Che fare?

Innanzitutto bisogna escludere che la coccigodinia derivi da una problematica legata all’osso e alla sua articolazione con il sacro. E’ consigliabile quindi una RX sia in posizione eretta che da seduti ( in quanto la lussazione risulta più evidente in flessione).

Una volta escluse fratture o lussazioni è utile anche una risonanza per vedere meglio i tessuti molli intorno all’osso.

La valutazione prevede la palpazione dei tessuti intorno al coccige per cercare le zone più dolenti; andando a testare anche la mobilità del coccige stesso e la tensione delle strutture fasciali e muscolari circostanti.

Generalmente il trattamento nella fase acuta prevede l’assunzione di farmaci antidolorifici e antinfiammatori e si cerca di evitare di sedersi su delle sedie rigide. Infatti si consiglia vivamente di utilizzare dei cuscini o ciambelle che evitano il contatto del coccige sulla sedia (anche dopo la fase acuta).

Passata la fase acuta , il trattamento manuale prevede una serie di tecniche che vanno a diminuire tutte quelle tensioni che si concentrano attorno al pavimento pelvico, e che vanno a recuperare quella mobilità delle strutture articolari collegate con muscoli e fasce al coccige ( ad esempio : sacro/iliaca; lombari e bacino). Utili anche gli esercizi di kegel per il recupero del tono muscolare del pavimento pelvico.

Oltre al trattamento manuale si può ricorrere anche ai mezzi fisici come il laser o l’ultrasuono che aiutano a togliere il dolore e l’infiammazione.

Se il dolore persiste e non migliora neanche dopo una serie di trattamenti , il medico allora  può consigliare anche l’utilizzo più elevato di farmaci antinfiammatori e miorilassanti.

Solo in pochissimi casi, come le fratture gravi con forte instabilità, il medico può ricorrere ad un intervento chirurgico chiamato coccigectomia , che prevede la rimozione della parte incriminata.

Il mal di schiena nei runners

Almeno 15 milioni di italiani soffrono di lombalgia ,runners compresi , indistintamente tra giovani ed anziani con risoluzione entro i tre mesi. Causa della lombalgia è la sedentarietà e non certo l’attività fisica.

La lombalgia può presentarsi in varie forme e normalmente il runner lamenta di “trascinare” la gamba “debole” oppure accusa ripetute lesioni muscolari agli ischio-crurali o al polpaccio.

Vediamo nello specifico che tipo di dolore può presentarsi

  1. Dolore lombare con colonna rigida e spesso inclinata da un lato con limitazione nella flessione in avanti del tronco; in genere dopo un sollevamento di un peso anche leggero con movimento di flessione-rotazione della colonna.
  2. Dolore lombare irradiato agli arti inferiori che a secondo della gravità può arrivare al piede. La causa in genere è da attribuirsi a protusione o ernia discale. Nei casi più gravi il dolore è presente anche a riposo, nelle forme lievi si ha la sensazione di avere una contrattura del quadricipite o degli ischiocrurali, oppure debolezza muscolare.
  1. Dolore da sindrome delle faccette articolari generalmente presente a riposo e assente in movimento. Le faccette articolari intervertebrali riducono le rotazioni vertebrali e proteggono il disco dall’usura. Con il passare degli anni i dischi degenerano e così aumenta il carico su queste articolazioni con formazioni di piccole sporgenze ossee(osteofiti) che possono irritare il nervo sciatico. I runners anche giovani senza addominali tonici e con una postura in iperestensione soffrono di tale sindrome.
  1. Dolore da stenosi, ovvero riduzione del canale vertebrale causata da artrosi, degenerazione discale ,usura delle faccette articolari e formazione di osteofiti. Colpisce solitamente i runners che hanno più di 60 anni con dolore e debolezza degli arti inferiori che compaiono con l’attività fisica e scompaiono a riposo.

Che cosa fare?

In caso di mal di schiena si deve sempre riposare e ridurre il numero degli allenamenti e di chilometri.

Dopo aver eseguito adeguati esami strumentali, rx o risonanza magnetica su tutti, si consigliano sedute di terapia manuale sulla colonna vertebrale che migliorano la sintomatologia e prevengono infortuni futuri. Utili anche le posizioni di relax della colonna e lo stretching.

Negli ultimi studi non si evidenzia una grande differenza tra questo tipo di approccio e l’utilizzo di antinfiammatori e antidolorifici, che possono essere assunti in caso di forte dolore.

Spesso vengono prescritti dallo specialista uso di cortisonici oppure infiltrazioni peridurali ,ozono terapia, o agopuntura.

L’opzione chirurgica è da considerarsi nei casi in cui le altre tecniche non siano state efficaci

Consigli utili per prevenire o curare la lombalgia

  • Migliora la postura in ufficio e in automobile
  • Evita posture scorrette sul divano e verifica l’adeguatezza del materasso su cui dormi.
  • Fai stretching in particolare dei muscoli ischiocrurali, tensore della fascia lata, adduttori e ileopsoas.
  • Esegui esercizi di rinforzo muscolare isometrico e migliora la mobilità delle anche.
  • Evita di rimanere seduto a lungo
  • Corri in pianura ed evita salite e discese ripide
  • Alterna le andature in allenamento, non soltanto corsa lunga e lenta ad alto impatto.
  • Cambia le scarpe al massimo ogni 700km.
  • Nel caso di lombalgia conclamata affidati ad uno specialista che sappia consigliarti cosa sia più utile al tuo caso tra le varie possibilità di trattamento di cui parlato prima.

La sindrome di Scheuermann

La malattia di Scheuermann è un’osteocondrosi che provoca alterazioni localizzate nei corpi vertebrali, si presenta in età evolutiva colpendo gli adolescenti, più comunemente tra li sesso maschile fra i 10 e i 14 anni

Per osteocondrosi si indica un gruppo di malattie caratterizzate da alterazioni dei nuclei di ossificazione delle ossa in via di accrescimento, e nel caso del morbo di Scheuermann consiste in un difetto di ossificazione delle vertebre del tratto dorsale della colonna che tende a modificarne la forma.

La risultante di questa modificazione è l’aspetto cifotico che si accentua nel tratto dorsale.

La cifosi è la normale curvatura che il tratto dorsale della colonna vertebrale assume in posizione eretta. Si definisce ipercifosi, o dorso curvo, quando tale curvatura supera i valori angolari definiti per la popolazione normale (maggiore di 40°-45°).

Cause

Ad oggi non sono ancora ben chiare le cause di questa patologia, ma si pensa che esistano più fattori che facilitano l’insorgenza:

  • predisposizione genetica;
  • traumi lievi o importanti ;
  • minor apporto ematico/occlusione vascolare.

La tesi multifattoriale più accreditata quindi ritiene che siano coinvolte alterazioni istopatologiche primitive (a causa ignota e genetica) delle cartilagini di accrescimento delle vertebre, che modificano l’ accrescimento di questi segmenti ossei, in associazione a fattori meccanici e vascolari.

Sintomatologia

Solitamente i sintomi di insorgenza sono il dolore al dorso con progressiva accentuazione della curva cifotica.

Biomeccanicamente parlando il dorso ha un ruolo importante nella fisiologia delle curve della colonna, è un punto di passaggio tra la cervicale e la lombare e in questa zona c’è l’ancoraggio della gabbia toracica con i relativi muscoli della respirazione.

Inutile dire che un cambiamento morfologico di questa zona instaura dei processi di compenso posturali (come l’iperlordosi lombare) che possono a loro volta dar vita a delle alterazioni biomeccaniche come scoliosi o spondilodistesi, problematiche al disco intervertebrale con le relative conseguenze ( radicolopatie su tutte).

Inoltre l’ alterazione del corpo o dei corpi vertebrale potrebbe dar vita ad una riduzione del movimento, soprattutto nell’estensione e nella flessione laterale del tratto dorsale.

Diagnostica

La presenza dei segni e sintomi non sono sufficienti per fare la diagnosi, che si deve avvalere della RX.

Questa presenta una deformazione a cuneo di almeno tre vertebre contigue:

  • deformità delle limitanti superiore;
  • deformità delle limitanti inferiore;
  • riduzione degli spazi intervertebrali.

In alcuni casi, i soggetti con morbo di Scheuermann hanno un aspetto simile a quelli affetti da sindrome di Marfan, ossia presentano una lunghezza sproporzionata del tronco e degli arti.

La diagnosi differenziale con la “cifosi posturale” può essere effettuata notandol’assenza delle lesioni radiografiche vertebrali e per la possibilità di correggere l’ipercifosi con i movimenti di estensione del dorso.

Il decorso è lieve ma prolungato, spesso dura diversi anni (la durata può variare molto) interrompendosi con il termine della crescita adolescenziale.

Che fare?

Se “la Malattia di Scheuermann” viene diagnosticata precocemente se ne può limitare l’evoluzione sfavorevole ma non si possono risolvere le deformazioni vertebrali evidenziate radiograficamente.

Nei casi più gravi, si deve intervenire chirurgicamente per riallineare i corpi vertebrali, ma fortunatamente sono minori rispetto ai casi in cui il miglioramento può avvenire grazie alla fisioterapia, associata a trattamenti osteopatici e a ginnastica posturale.