Le cisti di Baker e il dolore dietro al ginocchio

Le cisti di Baker devono il loro nome a Willliam Morrant Baker (chirurgo della seconda metà dell’800), e sono dovute da un eccesso di liquido prodotto fisiologicamente dalla sinovia del ginocchio.

Le cisti di Baker vengono chiamate anche cisti poplitee in quanto il liquido articolare del ginocchio in eccesso spesso può insinuarsi nella cavità posteriore del ginocchio e lì vi rimane intrappolato formando una sacca piena di liquido.

Solitamente viene a formarsi tra i muscoli semimembranoso e gastrocnemio mediale, nei piani muscolari posteriori del ginocchio e le sue dimensioni possono variare (possono oscillare dalla grandezza di una piccola noce fino a quella di una palla da biliardo).

Per quale motivo si forma?

Le cause della formazione in eccesso del liquido articolare sono riconducibili a problematiche inerenti l’articolazione del ginocchio:

  • Traumi o patologie al ginocchio
  • Esiti di rotture legamentose o meniscali
  • Esiti di intervento chirurgico
  • Lesioni ossee e muscolari
  • Condizioni infiammatorie importanti (come artriti, osteocondrosi, Gotta,..)

In tutte queste condizioni vi è un aumento di liquido che penetra fino alla borsa poplitea , tale da aumentarne le dimensioni.

Vi è inoltre una condizione in cui si può formare la cisti senza che il ginocchio presenti anomalie, ed è tipica però dell’età giovanile.

Che sintomi puo’ dare e che indagini fare

La cisti di Baker non è sempre sintomatica, soprattutto se le dimensioni non sono importanti.

Quando la grandezza comincia ad essere consistente la persona avverte un fastidio dietro al ginocchio e  la presenza di qualcosa soprattutto quando lo piega molto.

I sintomi più comuni, frequenti anche in molte problematiche di ginocchio, sono il gonfiore, il dolore localizzato posteriormente al ginocchio e la rigidità articolare (soprattutto dopo una flessione prolungata).

Per fare una diagnosi precisa di cisti di Baker c’è bisogno di una Risonanza Magnetica o un’ecografia in quanto la cisti non è sempre visibile ad occhio nudo.

Che fare?

A volte le cisti di Baker (di solito quelle più piccole) si assorbono spontaneamente.

Nel caso in cui ciò non avvenisse si può iniziare una terapia conservativa manuale mirata al drenaggio dei liquidi e alla diminuzione delle tensioni fasciali e muscolari responsabili di un sovraccarico del ginocchio che comunque deve mantenere  una buona mobilità.

Anche i mezzi fisici utilizzati in fisioterapia possono migliorare il drenaggio e quindi diminuire il gonfiore, come ad esempio la tecar, il laser e gli ultrasuoni.

L’ultima alternativa alle cisti di Baker è l’intervento del medico chirurgo, che può aspirarle oppure toglierle chirurgicamente, in via artroscopica, soprattutto quando la terapia conservativa non ha funzionato e la cisti ha continuato a crescere sia nelle dimensioni che nella dolorabilità.

Il dolore della contrattura muscolare

La contrattura muscolare è una contrazione involontaria e continua di una o più fasce del muscolo,

con conseguente rigidità del muscolo stesso, dolente alla palpazione e con riduzione della mobilità.

Per capire meglio come è fatto un muscolo vi rimando ad un articolo precedente: Lo stretching: cos’è, a cosa serve

Spesso si fa l’errore di associare la contrattura muscolare allo stiramento oppure allo strappo o al crampo. Sono problematiche diverse tra loro che hanno solo il muscolo come organo comune colpito dalla lesione.

La contrattura muscolare è caratterizzata solamente dall’aumento del tono del muscolo contratto localizzato e non da un danneggiamento strutturale del tessuto.

I sintomi della contrattura

Quando c’è una contrattura il soggetto può sentire un dolore modesto o più intenso, diffuso lungo il tratto muscolare interessato.

La sensazione che si prova è quella di avere un punto resistente e doloroso alla palpazione; a volte le persone riferiscono proprio di sentire come un “sasso duro” che comprime sul punto incriminato.

Nella maggior parte dei casi però il dolore è tollerabile e non impedisce il normale svolgimento dell’attività lavorativa o sportiva.

Altri sintomi possono essere la rigidità e la limitazione dei movimenti, la tensione e l’aumento del tono muscolare.

I muscoli o i distretti muscolari solitamente più colpiti sono

  • i muscoli paravertebrali al livello dorsale e lombare;
  • il muscolo trapezio bilateralmente al livello cervicale e spalla;
  • i muscoli adduttori e il retto femorale sulla coscia;
  • il muscolo bicipite femorale e tricipite surale al livello posteriore della coscia e della gamba.

Quali sono le cause delle contratture muscolare?

Le cause sono molteplici e possono essere di natura meccanica e/o metabolica e possono presentarsi in seguito a :

  • sollecitazione e/o sforzo muscolare troppo intenso e/o prolungato nel tempo;
  • movimento veloce involontario;
  • posture sbagliate prolungate nel tempo;
  • allenamenti sbagliati o non proporzionati alla preparazione atletica;
  • sedentarietà;
  • gravidanza;
  • disturbi circolatori o metabolici;
  • patologie muscolari e/o del sistema nervoso;
  • problematiche articolari croniche (come artrosi e artriti).

Come curare una contrattura muscolare

Il riposo è la terapia più efficace. Solitamente in meno di una settimana il fastidio da contrattura sparisce, ma la persona colpita deve astenersi da attività sportiva.

Per favorire un recupero più veloce si consigliano:

  • esercizi di allungamento passivo e attivo dei muscoli;
  • terapie fisiche e manuali che aiutano il muscolo a ricevere maggiore afflusso sanguigno (dal classico massaggio alla tecar, fino alle mobilizzazioni tessutali, ecc….);
  • praticare un adeguata attività aerobica;
  • utilizzare tecniche di rilassamento;
  • mantenere un adeguata idratazione e alimentazione.

Nei casi più dolorosi e più difficili da risolvere (come ad esempio le contratture in seguito al classico “colpo della strega”) può essere indicato su consiglio medico il trattamento farmacologico con i FANS (Farmaci antinfiammatori non steroidei) associati a volte anche a dei miorilassanti.

La modalità di somministrazione di questi farmaci, se per via topica (come i cerotti transdermici), o per via orale (assunzione per bocca) o per via intradermica (le punture) è da scegliere in base alla gravità e alla tollerabilità della persona.

Come evitare la formazione di contratture

La prevenzione consiste nell’eliminare tutte quelle condizioni che facilitano l’instaurarsi delle contratture:

  • in primis correggere gli squilibri posturali, articolari e muscolari;
  • prima di un’attività sportiva fare un riscaldamento adeguato;
  • eseguire dello stretching per mantenere una buona elasticità e lunghezza muscolare idonea;
  • rispettare i tempi di recupero dopo un’attività fisica;
  • mantenere una articolarità adatta ed evitare la poca mobilità;
  • assumere un’alimentazione adeguata
  • cercare sempre di mantenere una giusta idratazione.

Alcune persone tendono ad avere più contratture rispetto ad altre anche per via della propria biotipologia, in questi casi l’importante è tenerle sotto controllo e non arrivare ad una condizione di dolore importante da impedire il normale svolgimento delle attività di vita quotidiana.

Dolore al ginocchio nell’età pre-adolescenziale: la malattia di Osgood-Schlatter

La sindrome di Osgood-Schlatter è un osteocondrosi che colpisce l’apofisi tibiale anteriore, una zona anatomica situata poco sotto alla rotula del ginocchio.

E’ la causa più comune di dolore al ginocchio negli adolescenti che fanno sport e la guarigione spesso è spontanea.

Per osteocondrosi si indica una serie di patologie che coinvolgono l’osso (osteo) e la cartilagine (condrosi) a carattere degenerativo.

Colpiscono prevalentemente nella fase adolescenziale e nel caso specifico dell’ Osgood-Schlatter c’è una prevalenza maggiore tra i maschi compresi tra i 10 e i 16 anni.

Cause

Non è ancora chiara una causa specifica, ma esistono più fattori che possono essere favorevoli per l’insorgere di questa patologia:

  • Stress meccanici sulla zona interessata, dove c’è l’ancoraggio del tendine rotuleo;
  • Predisposizione genetica-ereditaria.

Per stress meccanici si intendono tutte quelle condizioni in cui il ginocchio può andare incontro a microtraumi ripetuti che creano una trazione anomala sul tendine rotuleo. Ciò, associato ad un immaturità ossea della tuberosità tibiale tipica dell’adolescenza, crea una ossificazione anomala e fuori dalla sua sede naturale dell’apofisi, e da qui la comparsa della protuberanza.

Che sintomi ci sono?

Solitamente si manifesta con:

  • Dolore al ginocchio, che aumenta dopo l’attività fisica, si riduce dopo l’interruzione e migliora col riposo;
  • Gonfiore e calore al ginocchio;
  • Alla RX si nota la comparsa di una protuberanza sotto al ginocchio;
  • A volte la sporgenza è visibile anche ad occhio nudo.

Inizialmente l’unico sintomo che l’adolescente lamenta è il dolore, in genere dopo un’attività sportiva ripetuta o che prevede dei salti.

Come si cura?

Il morbo di Osgood-Schlatter è una patologia benigna che di solito guarisce spontaneamente anche nell’arco di due anni.

L’evoluzione è favorevole e la sintomatologia tende a scomparire senza lasciare nessun fastidio.

Il trattamento è conservativo e consiste inizialmente nel riposo e nella riduzione o astensione dall’attività sportiva che possa acutizzare il dolore.

Per controllare il dolore spesso si consiglia il riposo assoluto ( con la gamba in scarico assoluto) e il ghiaccio nella zona dolente.

Per completare il trattamento è necessaria anche della terapia manuale che sarà mirata all’allungamento di alcuni distretti muscolari e al rinforzo di altri.

Nei casi più gravi può essere necessario un periodo di immobilizzazione del ginocchio con un tutore o un gesso.

Solo se Il morbo di Osgood-Schlatter viene trascurato, può causare dolore anche dopo l’adolescenza, rendendo necessario un intervento chirurgico per rimuovere frammenti ossei o per rimediare ad un distacco osseo.

Ma, come già detto in precedenza, l’evoluzione della patologia è benigna nella quasi totalità dei casi, e con il crescere può lasciare dei segni radiologici tipici ma che non daranno nessuna problematica futura.

Dito a scatto

Il dito a scatto, detto anche tenosinovite stenosante, è un disturbo in cui una delle dita delle mani rimane in posizione piegata, più spesso il pollice, il medio o l’anulare.

 

La tenosinovite stenosante è dovuta ad un’infiammazione che coinvolge le pulegge e le membrane che avvolgono i tendini della mano, nello specifico i tendini dei muscoli flessori della mano.

I tendini hanno un percorso lungo e tortuoso prima di inserirsi sulle ossa distali delle dita e a livello della mano passano attraverso delle pulegge che sono dei tunnel fibrosi entro i quali scorrono i tendini.

Se la membrana tendinea si infiamma frequentemente o per lunghi periodi, lo spazio all’interno della membrana del tendine si restringe. Il tendine, quindi, non riesce a scorrere nella membrana, e il dito rimane bloccato in posizione piegata prima di raddrizzarsi con uno scatto. Ad ogni scatto, il tendine si irrita e si infiamma sempre più, peggiorando ulteriormente il problema

Che sintomi puo’ dare?

I segni ed i sintomi del dito a scatto possono essere lievi o gravi e comprendono:

  • Gonfiore o rigidità del dito (soprattutto al mattino);
  • Sensazione di scatto o schiocco al movimento di flessione-estensione oppure mentre si afferra saldamente un oggetto;
  • Presenza di un nodulo alla base del dito colpito;
  • Dolore localizzato sul palmo della mano;
  • Dito bloccato in posizione piegata, che si raddrizza improvvisamente oppure, in casi più gravi, che non riesce a completare il movimento di estensione.

Cause

Le cause di questo processo infiammatorio non sono sempre chiare.

Può essere dovuto a microtraumi ai tendini flessori o a un sovraccarico funzionale.

Le continue sollecitazioni dei tendini della mano, dovute a sforzi o a movimenti ripetuti, possono causare l’infiammazione dei tendini flessori, così come l’utilizzo continuativo di macchinari che vibrano o che sollecitano in maniera continuativa i tendini.

Giocano un fattore predisponente anche patologie come l’artrite reumatoide, la gotta, il diabete, l’ipotiroidismo, l’amiloidosi e determinate infezioni come la tubercolosi.

Che fare?

Per eliminare lo scatto o il blocco del dito bisogna togliere il gonfiore intorno al tendine flessore e alla sua guaina per consentire un migliore scorrimento nella puleggia.

A seconda della gravità del caso si può procedere per due strade:

  • Terapia conservativa
  • Terapia con chirurgia mininvasiva

Nel primo caso si può inizialmente procedere con una terapia farmacologica per poi passare per la terapia fisica strumentale (come la tecar, il laser o l’ultrasuoni) e poi per la terapia manuale.

Queste terapie hanno lo scopo di diminuire l’infiammazione e di riequilibrare la biomeccanica, la mobilità e la forza muscolare dei tendini coinvolti.

Se la terapia conservativa non ha i suoi effetti si può provare con le infiltrazioni locali di cortisone e per ultimo passare all’intervento chirurgico.

Il dito a scatto può presentarsi in modi differenti; a seconda dello stadio evolutivo del disturbo ci sono diverse alternative terapeutiche.

Il paziente deve saper coglier i sintomi iniziali , evitare microtraumi e movimenti manuali ripetuti , perché più tardi viene presa in cura la patologia e più lungo e difficoltoso sarò il percorso terapeutico.

Le fratture dell’osso

Per Frattura si intende l’interruzione dell’integrità parziale o totale del segmento osseo, che può avvenire per un evento traumatico o spontaneo (in seguito a patologie).

Il tessuto osseo è un tipo particolare di tessuto connettivo che tende a modificarsi nel tempo, le cui caratteristiche sono la durezza e la resistenza e le funzioni principali sono il sostegno del corpo e la protezione degli organi.

La modificazione del tessuto osseo avviene per stimoli meccanici e organici e si può alterare anche per l’alimentazione o per le condizioni generali di salute del soggetto.

Classificazione delle fratture

Una prima classificazione delle fratture si può fare in base alle cause:

  • Fratture traumatiche: avvengono in un osso a seguito di uno stress traumatico;
  • Fratture patologiche: avvengono in un osso senza nozione di trauma, ma per condizioni patologiche generali o locali, (ad esempio le fratture da osteoporosi o da tumore osseo)
  • Fratture da stress: tipica degli sportivi, viene causata da microtraumi ripetuti in un determinato punto osseo soggetto a maggior carichi (si verificano lentamente).
  • Fratture da avulsione: sono delle fratture traumatiche ma causate da una brusca e violenta contrazione muscolare

In base all’orientamento e alla forma della rima di frattura, (la fessura che separa i due frammenti ossei) possono essere classificate in

  • Trasversale
  • Obliqua
  • A spirale o spiroidi
  • Longitudinale.

Inoltre le fratture possono essere COMPOSTE (senza dislocazione dei frammenti) /SCOMPOSTA (con dislocazione dei frammenti); oppure SEMPLICI / PLURIFRAMMENTARIE / COMMINUTE, in base al numero di frammenti ossei prodotti.

Quali sono i sintomi di una frattura?

Sicuramente il sintomo più importante è il dolore, a volte anche insopportabile tanto da avere anche nausea, vertigini e altre risposte dal sistema neurovegetativo.
Inoltre possono esserci anche altri sintomi caratteristici:

  • Gonfiore
  • Deformazione e incapacità nel muovere l’arto
  • Tumefazione
  • Ecchimosi
  • Sanguinamento se si stratta di una frattura esposta

Come si diagnostica

La diagnosi di fattura viene fatta grazie alla radiografia (RX).
Per alcune tipologie di fratture (come quelle da stress) la RX può non bastare, e in questi casi per avere la certezza è meglio la TC. In alcuni pazienti può essere d’aiuto anche la Risonanza Magnetica.

Che fare?

In base al tipo di frattura il medico di competenza deciderà se: immobilizzare solo con il gesso o un tutore la zona fratturata; oppure riallineare le estremità dell’osso fratturato tramite delle manovre ortopediche per la riduzione della frattura; oppure intervenire chirurgicamente.

In questa ultima, ipotesi l’intervento può prevedere l’inserimento di viti metalliche, di chiodi intra-medullari di fissatori esterni oppure protesi.
La maggior parte dei pazienti con frattura hanno bisogno della riabilitazione, seguendo i tempi e i protocolli del caso clinico.
La guarigione ossea è un processo naturale che, nella maggior parte dei casi, avviene autonomamente e si può dividere in tre fasi:

  • La fase infiammatoria avviene subito dopo la frattura, è caratterizzata dalla formazione di un ematoma con a volte versamento di sangue. Dura circa una settimana.
  • La fase riparativa inizia dopo circa una settimana e a seconda della frattura può durare 4 o 5 settimane. Durante questo periodo il callo fibroso, tramite la calcificazione del tessuto, si trasformerà in callo osseo.
  • La fase di rimodellamento inizia dopo sei settimane dopo la frattura e può durare settimane o mesi. L’osso viene a rimodellarsi nella propria struttura fino a riacquistare l’originale resistenza meccanica.

Ci sono delle condizioni che possono rallentare o impedire la guarigione e vengono chiamate: RITARDO DI CONSOLIDAZIONE e PSEUDOARTROSI, dovute ad alcune patologie, dalla localizzazione o dalla posizione della frattura. È il caso di alcuni tumori, del diabete, delle insufficienze renali, osteoporosi, malattia di Paget, infezioni ossee, ecc…

Come si puo’ velocizzare la guarigione?

Il modo migliore per aiutare le fratture è il riposo, esistono poi dei metodi per accelerare i tempi di recupero:

  • Assumere integratori di sali minerali e vitamine (il giusto dosaggio deve essere consigliato dallo specialista)
  • Adottare una alimentazione adeguata
  • Utilizzo di terapie fisiche che facilitano e stimolano la formazione ossea come la magnetoterapia, tecarterapia, ultrasuoni a bassa intensità (anche in questo caso su indicazione medica).
  • Innesto osseo: se la frattura non guarisce, viene trapiantato un osso naturale o sintetico per stimolare l’osso rotto.
  • Introdurre il carico progressivo nei giusti tempi (la stimolazione ossea avviene anche grazie al carico).
  • Terapia con cellule staminali: negli ultimi anni si sta studiando anche il metodo delle cellule staminali per trattare fratture che non guariscono.

10 falsi miti sul mal di schiena

L’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’ (OMS) riporta il mal di schiena come causa principale di disabilità in tutto il mondo. Essa colpisce almeno una volta nella vita circa il 70-85% della popolazione mondiale ed è una delle principali cause di assenza sul lavoro.

L’argomento mal di schiena è stato già affrontato in due articoli precedenti:

Essendo una problematica molto comune, spesso vengono dette cose inesatte e in questo articolo andrò a sfatare alcune convinzioni riguardanti le cause di questo fastidio.

1. HO UN ’ERNIA ED È LA CAUSA DEL MIO DOLORE FALSO

Spesso molte persone che hanno un’ernia sono anche asintomatiche. Circa il 90% delle persone non ha dolore o la causa del dolore o non è da attribuire all’ernia stessa e nel 60 % dei casi circa regrediscono spontaneamente.

2. MI FA MALE LA SCHIENA PERCHE’ HO LE VERTEBRE SCHIACCIATE E NUMEROSE PROTUSIONI. FALSO

La natura del mal di schiena è multifattoriale. Possono esserci diversi distretti corporei (colonna, bacino, anche, ecc) coinvolti nell’insorgenza e nel protrarsi dei sintomi. Molte persone che eseguono una RX o una RM scoprono di avere degli schiacciamenti vertebrali o protusioni, ma sono da sempre asintomatici

3. IL RIPOSO FARA’ SICURAMNETE MEGLIO E FA PASSARE IL DOLORE. FALSO

Solitamente nei primi giorni, quando il dolore è acuto, il riposo è consigliabile e può non accentuare i sintomi.  Ma nei giorni successivi, rimanere troppo tempo a letto o sul divano può anche peggiorare la situazione. A volte bisogna muoversi quanto prima per sconfiggere questo fastidio.

4. BISOGNA FARE SUBITO UNA RISONANZA MAGNETICA PER CAPIRE E RISOLVERE IL PROBLEMA. FALSO

Il più delle volte non serve fare un esame diagnostico per immagini, ma questo deve essere consigliato dallo specialista. Non è detto che la risonanza magnetica sia l’indagine più adatta a capire la causa del problema.

 

5. IL MAL DI SCHIENA È COLLEGATO CON LA POSTURA SBAGLIATA. FALSO

Non esistono associazioni fra alterazioni posturali e asimmetrie (come scoliosi, iperlordosi e ipercifosi) e lo sviluppo del mal di schiena. Non esiste una postura ideale o una postura perfetta e il dolore non è associato a un determinato tipo di postura, ma a quanto tempo manteniamo quella determinata postura.

 

6. BISOGNA FAR PASSARE L’INFIAMMAZIONE PRIMA DI FARE LA TERAPIA. FALSO

Spesso far passare troppo tempo tra l’inizio del dolore e il trattamento può allungare la prognosi e quindi allungare anche i tempi del trattamento. In alcune condizioni prima ci si muove col terapeuta e prima si vede una soluzione al problema

 

7. SE IL DOLORE NON PASSA BISOGNA OPERARSI. FALSO

Solo una minima percentuale di persone con il mal di schiena avrà bisogno di ricorrere alla chirurgia, una volta fallite tutte le altre strategie conservative di trattamento, che prevedono la terapia farmacologica, la terapia manuale, la terapia fisica e l’esercizio attivo.

8. CORRERE E FARE SPORT IN GENERE FA MALE ALLA SCHIENA. FALSO

L’attività fisica migliora in alcuni casi il mal di schiena ed evita la sua cronicizzazione. Quale sport è meglio fare e come farlo è a discrezione del medico o del terapeuta che consiglierà quello più adatto al paziente.

 

9. NON SI PUO’ TORNARE A FARE QUELLO CHE SI FACEVA PRIMA. FALSO

Grazie ad una analisi e ad una correzione dei fattori che predispongono o influiscono sul mal di schiena, si limiterà il dolore ed è possibile ridurre il rischio di nuove ricadute, tornando anche alla normale routine di una volta.

 

10. SOLLEVARE PESI È MOLTO PERICOLOSO E FA USCIRE UN’ERNIA. FALSO

Non esiste nessuna evidenza che dimostri che sollevare dei pesi con la schiena dritta sia più sicuro che farlo con la schiena curva, ma il come sollevare un oggetto pesante è soggettivo.  Il suggerimento del proprio terapeuta che studia e valuta le caratteristiche fisiche del soggetto è molto di aiuto.

Osteoporosi e osteopenia: cosa sono e cosa fare!

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), definisce l’osteoporosi “una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da bassa massa ossea e da alterazioni architetturali dell’osso, che portano a un aumentato rischio di fratture”.

L’osteopenia può considerarsi invece un’ anticamera dell’osteoporosi, una fase iniziale di questa; caratterizzata da dei valori della Densità minerale ossea (BMD) entro un certo intervallo che andremo a spiegare dopo.

osteoporosi

L’osteoporosi è una malattia caratterizzata da una riduzione della massa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, che induce un’aumentata fragilità ossea, con un conseguente aumento del rischio di frattura. (Fonte: Ministero della Salute).

E’ una patologia dovuta ad uno squilibrio del metabolismo osseo; è sistemica perché può coinvolgere tutte le ossa del corpo, anche se quelle che supportano di più sotto carico( come le vertebre e il femore) sono più a rischio di fratture.

Per bassa massa ossea significa che il contenuto di minerali dell’osso (essenzialmente sali di calcio) è significativamente minore del normale e a causa di ciò nel tempo ci possono essere dei rimodellamenti strutturali all’interno dell’osso (le trabecole ossee si assottigliano o si spezzano, con conseguente allargamento degli spazi intertrabecolari).

Diagnosi

La diagnosi di osteoporosi si basa sulla misurazione del contenuto minerale osseo (BMC) e della densità minerale ossea (BMD) e vengono evidenziati con il termine T-Score.

Si analizzano in particolare alcune ossa del corpo (di solito vertebre lombari o estremità prossimale del femore) e l’esame viene chiamato densitometria ossea o mineralometria ossea computerizzata (MOC).

 

I valori di T-Score indicano:

  • -1 -> soggetto normale
  • Fra -1 e -2,5 -> soggetto con osteopenia
  • Inferiore a -2,5 -> soggetto con osteoporosi.
  • Inferiore a -2,5 e presenza di una o più fratture -> soggetto con osteoporosi severa.
osteoporosi e osteopenia

Quali sintomi puo’ dare?

I sintomi dell’osteoporosi non risultano sempre di facile riconoscimento, anzi in fase iniziale viene definita una patologia asintomatica.

Il segnale che può indurre il medico a sospettare della sua presenza è rappresentato dal dolore osseo, che è spesso riferito all’anca o alla schiena e non compare al mattino nell’alzarsi dal letto (al contrario dell’artrosi), bensì dopo essere stati a lungo in piedi e annullandosi , rapidamente, una volta sdraiati.

Ma spesso questi “doloretti” vengono sottovalutati e pertanto, i pazienti possono non essere consapevoli della loro osteoporosi fino a quando non subiscono una frattura dolorosa.

Vi sono poi altri sintomi e segni clinici tipici (non esclusivi) dell’osteoporosi descritti in letteratura medica:

  • calcolosi renale,
  • ipercalcemia (alta concentrazione di Calcio nel sangue),
  • ipercifosi (quando l’angolo di curvatura del rachide dorsale supera i 35 gradi),
  • iperlordosi (accentuazione della curva del rachide lombare).
situazione normale e con osteoporosi

Causa e problemi associati all’osteoporosi

L’osteoporosi non è una patologia che ha una sola causa ma può essere determinata da:

  • qualunque cosa che possa alterare il delicato processo di crescita e, successivamente, di mantenimento dell’osso;
  • qualunque cosa che possa alterare la disponibilità dei minerali necessari (che provengono dagli alimenti e dalle bevande),
  • mancanza di attività fisica.

Molti fattori possono incidere sulle cause sopra descritte e portare ad un osteoporosi come succede nei casi di:

  • osteoporosi postmenopausale (causata essenzialmente dalla brusca caduta della produzione di ormoni sessuali femminili che normalmente mantengono il rimodellamento osseo in equilibrio)
  • l’osteoporosi senile ( dovuta dall’indebolimento di tutti i processi vitali inclusa la produzione di vitamina D e il ridotto assorbimento intestinale di calcio)

Ci possono essere osteoporosi secondarie ad altre patologie come l’ipertiroidismo, l’ iperparatiroidismo, l’insufficienza renale cronica, le malattie croniche intestinali ( come la celiachia e il morbo di Crohn).

Anche l’uso terapeutico a lungo termine di alcuni farmaci, come i corticosteroidi o l’eparina, possono provocare osteoporosi anche nei giovani.

Inoltre esistono anche altre forme di osteoporosi che sono determinate da anomalie genetiche dell’osso (osteogenesi imperfetta) o non hanno alcuna causa conosciuta (osteoporosi giovanile idiopatica).

Che fare?

Innanzitutto l’osteoporosi deve essere prevenuta.

Se la MOC evidenzia un inizio di osteopenia e dalle analisi del sangue risulta un valore basso di vitamina D; è necessario prevenire l’osteoporosi basando la cura su tre fattori chiave:

  1. adeguata assunzione di Calcio;
  2. facilitare il metabolismo della vitamina D;
  3. fare una regolare attività fisica.

Sull’assunzione di Calcio e come favorire il metabolismo della vitamina D sarebbe opportuno rivolgersi al proprio medico o allo specialista; per quanto riguarda l’attività fisica si può fare affidamento al proprio terapeuta o medico di fiducia che consiglierà quale sia la migliore in base anche alle altre problematiche relative al soggetto.

Il colpo di frusta

L’OMS ( ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITA’) definisce il colpo di frusta ( o whiplash ) “un trauma che abbia effetto della sorpresa e nel quale si riscontri un ritardo, assenza o insufficienza della contrazione muscolare di protezione”.

Questa situazione si verifica spesso nel classico tamponamento automobilistico posteriore, dove il soggetto si ritrova a subire un primo trauma che porta la porzione cervicale (quella più libera di muoversi quando si è seduti in macchina), in iperestensione prima; e poi per effetto “rimbalzo” da urto porta il collo in iperflessione.

Tuttavia possono esserci anche dei traumi da colpo di frusta in lateralità dove si riscontrano delle iperflessioni in laterale.

A determinare la gravità del whiplash non è molto la velocità del trauma, ma la sua imprevedibilità; e può essere il risultato di traumi non per forza automobilistici, ma anche dovuti all’attività sportiva oppure ad uno shock diretto sul cranio.

Quali sono le strutture anatomiche coinvolte ?

Le prime parti ad andare sotto stress sono le strutture capsulo-legamentose, seguite dai muscoli; fino ad interessare i dischi intervertebrali, le strutture vascolari, le radici nervose, la parte ossea ed il midollo nei casi più gravi.

Sintomi.

In base alle strutture coinvolte i sintomi possono essere più o meno gravi e possono persistere anche a distanza di mesi dall’evento traumatico. I sintomi più comuni inizialmente sono:

  • Dolore alle spalle, collo e braccia;
  • Limitazione dei movimenti;
  • Rigidità muscolare;
  • Mal di testa con o senza vertigini;
  • Nausea e/o vomito;
  • Acufene e/o disturbi della vista;
  • Parestesie e scosse elettriche alle braccia e alle mani;
  • Senso di spossatezza generale.

Questi sintomi possono durare dai 7 ai 20 giorni e sulla radiografia che viene eseguita per controllare eventuali fratture ossee, si riscontra la tipica verticalizzazione del tratto cervicale.

Passate le prime tre settimane, i sintomi sopramenzionati possono diminuire oppure possono accentuarsi; in questo caso occorre fare un ulteriore indagine con una risonanza od una TC per andare ad indagare le strutture coinvolte.

Solitamente il miglioramento dei sintomi si ha nell’arco di tre mesi; ma alcuni colpi di frusta possono lasciare delle conseguenze a lungo termine con sintomi meccanici o neurologici; principalmente per tre motivi :

  1. La situazione della colonna vertebrale era già problematica e compromessa prima del trauma;
  2. Non è stata fatta un’adeguata terapia dopo l’evento;
  3. Il trauma eccessivo ha causato delle lesioni che hanno coinvolto anche le ossa o il sistema nervoso.

Che fare?

In genere, nei casi meno gravi, il trattamento prevede una terapia farmacologica a base di antinfiammatori e miorilassanti (per ridurre dolore e contrattura muscolare), seguiti poi da una terapia fisioterapica ed osteopatica.

Ci sono numerosi articolii scientifici che dimostrano come la terapia manuale, associata anche ad altri tipi di intervento, migliora la sintomatologia nei colpi di frusta.

La terapia manuale, può essere molto efficace per curare i colpi di frusta sia in fase acuta che cronica, con lo scopo di ristabilire la giusta mobilità e funzionalità del corpo.

Inoltre sono consigliabili degli esercizi da fare anche lontano dall’evento traumatico e consultabili sul mio sito al seguente link:  http://www.pierpaolopogelli.it/articoli/esercizi-per-la-cervicale/

Rizoartosi, l’artrosi del pollice

La rizoartrosi è un processo degenerativo che viene ad interessare l’articolazione trapezio-metacarpale, articolazione alla base del pollice.

L’articolazione trapezio-metacarpale è definita articolazione “a sella” per l’estrema somiglianza con la sella del cavallo: concava da un senso e convessa dall’altro. Permette i movimenti di opposizione, abduzione, adduzione, flessione ed estensione.

Statistiche alla mano, la rizoartrosi rappresenta la forma più comune di artrosi alla mano, colpisce più frequentemente le donne degli uomini e fa solitamente la sua comparsa dopo i 40 anni.

La cartilagine articolare in questa zona si usura nel tempo con una compromissione graduale del movimento del pollice, e può colpire una o tutte e due le mani.

Sintomi

I sintomi iniziali sono quelli comuni a tutte le tipologie di artrosi : dolore, rigidità articolare (soprattutto mattutina) e difficoltà nei movimenti.

Il dolore iniziale (alla base del pollice) si accentuerà in alcuni gesti della vita quotidiana come aprire un barattolo, girare una chiave, prendere un oggetto un po’ pesante, etc.

Col passare del tempo questo dolore tende ad aumentare ed a cronicizzarsi con probabile comparsa di una deformità alla mano (dal lato del pollice si nota un’importante ipotrofia muscolare ; il primo metacarpo si sublussa e la prima articolazione Metacarpofalangea si iperestende).

Cause e diagnosi

La rizoartrosi deriva da un danno cartilagineo progressivo facilitato dall’instabilità della stessa articolazione.  Alcune condizioni di usura progressiva, come particolari attività lavorative che hanno impegnato la mano per anni a sforzi o movimenti particolari possono influenzare la comparsa della malattia (un fattore significante può essere anche l’uso prolungato di telefonini o tablet).

Si è visto che una combinazione di fattori facilita l’instaurarsi di questa problematica:

  1. La predisposizione genetica/familiare all’artrosi
  2. L’età avanzata
  3. Il sesso femminile più colpito (soprattutto dopo i 55 anni e con la menopausa)
  4. Una storia passata di infortuni a carico delle articolazioni del pollice
  5. I lavori usuranti per la mano

La diagnosi è basata sui segni e sintomi del paziente  e un esame radiografico con eventuale TAC ci consentono di valutare la gravità del quadro artrosico indirizzandoci verso il tipo di terapia.

Radiograficamente si individuano 4 stati della patologia :

  • Stadio I: restringimento della rima articolare della Trapezio-metacarpale, sclerosi subcondrale senza sublussazione né osteofiti.
  • Stadio II: sclerosi subcondrale metacarpale marcata, con iniziale osteofitosi e sublussazione inferiore a 1/3 della base.
  • Stadio III: osteofitosi del trapezio, con scomparsa quasi totale dell’interlinea articolare, sublussazione maggiore o uguale a 1/3 della base metacarpale e artrosi peri-trapeziale.
  • Stadio IV: grave dismorfismo articolare, con voluminosi osteofiti diffusi, sublussazione della Trapezio-metacarpale e geodi subcondrali

Che fare?

La valutazione precoce della rizoartrosi (prima della comparsa del dolore, dell’impotenza funzionale e della deformità articolare) permette di evitare gravi disfunzioni e distruzioni articolari.

Il trattamento può essere conservativo o invasivo. Ad oggi l’approccio conservativo è il più utilizzato ed è sempre consigliato anche dai medici.

Tecniche manuali e l’utilizzo di mezzi fisici (come tecar, laser, etc..), associati anche a terapia antinfiammatoria (soprattutto nei casi gravi) hanno l’obbiettivo di ridurre i sintomi e migliorare la funzionalità della mano.

Nelle fasi più acute è consigliabile anche l’utilizzo di un bendaggio o di un tutore (statico o dinamico , a seconda della funzione)  che permette alla zona colpita di restare a riposo  da ulteriori stress meccanici.

Nelle forme più gravi viene presa in considerazione l’opzione dell’intervento chirurgico, che prevede l’asportazione della parte colpita dell’osso trapezio con l’inserimento di piccole protesi di varia natura.

Dopo l’intervento fa seguito un’immobilizzazione di circa 3 settimane e un successivo periodo di fisioterapia con un tempo medio di recupero progressivo di circa 3 mesi.

Correre ai tempi del corona virus

Questa volta non sarà il solito articolo sulle problematiche dell’apparato muscolo-scheletrico e i relativi consigli, ma affronterò un argomento che purtroppo stiamo vivendo in questi giorni.

E’ giusto additare i runners in questo periodo come untori del virus?

Premesso che non sono un corridore  né tantomeno uno sportivo praticante; e che sono d’accordo con le misure restrittive che hanno preso le istituzioni in questo momento : restare a casa è l’unica soluzione possibile per rallentare la diffusione del virus.

Però non mi sento di colpevolizzare chi esce di casa per fare una corsetta, a patto che vengano rispettate le regole e i decreti in vigore, per un semplice motivo : è una questione di salute, soprattutto mentale.

Non tutte le persone vivono in appartamenti grandi, non tutte le persone hanno la possibilità di fare sport dentro casa o di uscire nel proprio giardino per fare una passeggiata al sole.

Per chi ha sempre fatto attività sportiva, toglierli la possibilità di muoversi è come togliere ai fumatori la possibilità di comprare le sigarette dal tabaccaio.

Sul sito del Ministero dell’Interno alla voce “Spostamenti” viene riportato : « L’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo. Sono sempre vietati gli assembramenti»

Purtroppo questa regola non viene sempre rispettata, e per colpa di alcune persone che hanno dei comportamenti irresponsabili si è arrivati a colpevolizzare in modo sbagliato tutti i runners come untori del virus.

La FIDAL ( federazione italiana di atletica leggera) menziona 10 semplici regole da seguire :

  1. Runner non ci si improvvisa.
  2. Chi non ha mai corso non è proprio il caso che inizi ora.
  3. Correre senza sapere come farlo può nuocere alla salute.
  4. Per chi è già runner, oggi si corre solo per conservare la salute.
  5. …la tua e quella di chi ti sta vicino.
  6. Per fare questo in primis corri da solo.
  7. Se vedi altri che corrono, allontanati.
  8. E se prima correvi 1 ora, oggi bastano 20 minuti
  9. Fai le scale più volte al giorno ed ottieni lo stesso risultato.
  10. E se tutto questo non è possibile, stai a casa e fai esercizi di tonificazione muscolare.

A questa lista ne aggiungerei un’altra regola che secondo me li metterebbe meno in cattiva luce :USCIRE PRESTO LA MATTINA O LA SERA TARDI, quando circolano meno persone.

Ahimè, spesso queste regole non sono state rispettate, e per questo motivo l’UNICA SOLUZIONE  E’ RIMANERE A CASA, VALIDO PER TUTTI.

L’attività fisica che si può fare in un appartamento o in un giardino non sarà sicuramente la stessa rispetto a quella “all’aria aperta” , ma ci sono numerose alternative alla corsa e si possono trovare sui canali social.

Solo con il buon senso si può superare questo difficile momento nel rispetto rigoroso delle regole che tutti siamo chiamati ad osservare, in particolare la categoria dei  runners, anche loro chiamati al buon esempio.

Se proprio non riuscite a fare a meno della corsa, fatela nel rispetto delle semplici regole!